Fabio Clerici nasce a Milano nel 1961 ove vive, ha conseguito la Maturità Turistica, svolge attività di volontariato presso la Croce Bianca, risulta vincitore di alcuni premi. La raccolta Dedicato a te… è presentata dall’editore Kimerik, il quale giudica le poesie: ritmate ed emozionanti, dallo stile accurato e dal linguaggio ricercato.
In effetti riscontriamo una fornace di emozioni. Nella eponima di apertura, confida: “Posso stanotte sognarti,/ e irrealmente abbracciarti/ ma tu non sei qui con me;”. Mi pare di avvertire una solitudine che il poeta riempie di sogni, come rimedio all’immenso vuoto che lo avvolge. Attraverso un destinatario al quale rivolge un tu conversevole o piuttosto impersonale, srotola pensieri in cui rivive sentimenti custoditi con tanta cura. Così sente un bacio in una sera di Natale; il ricordo dei vent’anni, la gioia e il dolore delle prime pulsioni; la sensazione che gli anni siano corsi veloci.
Guardare indietro e poi perdersi con lo sguardo nell’infinito avanti a noi; ma adesso, in occasione di un lutto, dice il Poeta: “non vedo più i tuoi occhi/ non sento più le tue mani/ e la tua voce si dissolve,/ qui seduto, ricordo solo tenerezze lontane.” (pag. 14). Questa delicata espressione si modula sulle corde di un violino, assumendo una valenza universale per ogni affetto perduto. Ricorre il senso della solitudine che lo accosta a Dio, della neve che si scioglie, dell’estate che volge alla fine, di un ultimo viaggio, della notte, di un ultimo pensiero, di una lontana stagione, della consapevolezza di affermare di esserci ancora.
Versi che sembrano cesellati alla maniera di note segnate sul pentagramma dell’anima. Il desiderio di tornare bambino nelle braccia della madre ed anche quello di proteggerla; un faro a salvaguardia dei naviganti; un fiume che porti alla deriva il suo dolore; l’inventarsi un bambino per ritrovare la gioia; ma trova come foto ingiallite i suoi ricordi; un mare sereno che culla i pensieri, ma sempre in totale solitudine, nella pienezza della sua contemplazione.
Fabio Clerici si rivela nel suo vissuto, quando traduce in parole i sentimenti e li esprime in modo incisivo, per significare ‘il senso della vita’: “Giorno dopo giorno/ guardare l’intimo dolore,/ ascoltare, non giudicare,/ il pensiero riconduce/ a trascorsi silenzi/ che tu non coglievi;” (36). Si chiede a chi importi di lui; costata che siamo come le foglie secche d’autunno; un’esistenza effimera è quella dell’uomo. La sua anima vaga in luoghi che ricordano antichi mestieri, ricordi dolorosi, labbra consunte da una malattia; Cotignac, regione provenzale; respira profumi; si accontenta di godere di attimi pensati, della visione di un vecchio a spasso con il cane, di un’ape che si posa sul fiore; si rammarica e si chiede se anche lui avrà l’attenzione di qualcuno e se qualcuno asciugherà una sua lacrima; egli si sente in pace.
Il Poeta rivela il proprio realismo nell’ascolto della sua ragione, e si appalesa nella sua interiorità: “l’anima della notte/ rende uguaglianza umana,/ spoglia dell’effimero ruolo/ modifica la nostra essenza;/ tutti sono chi non sono;/ la luce dissipa l’illusione/ e rimanda a umani doveri.” (51). Direi che la poesia si carica di una portata universale, pur nella variegata umanità. La ricerca del senso della vita ha condotto il Nostro e riconsiderare l’esistenza umana in una sorta di giochi di specchi, di tutte le possibili curvature, sì che ognuno appare chi è, e altresì chi non è, come vorrebbe essere e come non vorrebbe essere. Motivi terreni e metafisici formano un groviglio in cui il Poeta si muove con la convinzione che pur essendo un granello di sabbia, la sua voce ha qualcosa da comunicare. E ciò è quanto basta.
“Il crogiuolo emotivo di questi versi e la sapiente costruzione che li dispone in convergenti costellazioni suggeriscono l’immagine lirica esistenziale che Fabio Clerici ha del mondo postmoderno e soprattutto della sua poetica di riuso dei segni. è il realismo dell’allegoria che rende queste forme poetiche omogenee, ricche di magmaticità pulsante destinata all’ordine immobile del nulla che sovrasta il linguaggio dei sentimenti, delle emozioni, degli stati vissuti.”*